Disciplina indefinibile, chiede di schierarsi, prendere posizione.
Chi dice sia l’arte di costruire, chi sostiene sia l’arte di progettare.
Spesso il progetto è migliore, più denso e ricco di idee, di tensione, anche più bello di quanto si riesca poi a realizzare, tuttavia resta un incompiuto, utile casomai al dibattito, se non ha la possibilità di tradursi in costruito. Il costruito, con tutti i suoi limiti e difetti, diviene fruibile dalle persone. Vive per loro e con loro. Gli altri.
Incanalare l’espressione, senza rinunce, ma proiettando sia il sé che gli utenti altri, consente, forse e solo talvolta, di far nascere una buona architettura. Resta poi una strada ancora lunga e irta di ostacoli, passaggi critici, revisioni. Confronti, a volte conflitti.
Una faccenda tra persone, che implica onestà relazionale. Un prodotto collettivo.
Ecco perché credo che la buona architettura sia intimamente etica.